Una conversazione immaginata
“…Per anni ho pensato che costruire l’identità fosse un fatto di testa, un processo intellettuale. Definire linee, punti, piani. Spazi. Poi ho lasciato di capire. Ho cominciato ad ascoltare il corpo, la sua reazione alle forme di natura, come si accoccolano, piuma a piuma, nel nido degli occhi.
Cose piccole, leggere. Si fa piano. Silenzio. Ssssh.
Ascolta: il vento nelle notti d’estate che scuote appena le tende, i capelli; la sorpresa del rumore della pioggia improvvisa sulla strada, sui tetti. Il cielo che si apre come pane e lievita, quando ti stendi e ti abbandoni alla terra, alla sollecitudine delle formiche.
Comunque, inutile nasconderlo, a me piacciono le superfici. Sono sottili, una promessa di profondo che puoi toccare solo se fai attenzione. Ho fiducia nelle mani, sentono sempre la consistenza di un segreto – oggi è soffice e vetroso come lana-. Ho scoperto che la pelle assorbe tutto, sa tutto, si trasforma. Getta odore, si tende, si rilassa, si rileva. Una porta aperta, poi socchiusa.
Le cose allora diventano biglie che mi scorrono nel cavo dei seni, petali sui polpastrelli, grani di parole che aderiscono agli occhi, pesano sulle ciglia come rugiada. Sono sassi tondi e caldi sotto la pianta dei piedi.
Il colore invece lo avverto come una pulsazione delicata dell’aria, si fa spazio nel silenzio che sta sotto l’epidermide, contagia il sangue, fruscia come seta che si sfila. L’ho visto nel deserto, inconsolabile.
L’occhio mi serve di più per guardare l’insieme, ricomporre i pezzi. Devo solo fare attenzione a non tagliarmi con gli angoli più acuminati. I frammenti invisibili. Ma se mi sento, mi tuffo e lascio che il mio corpo si tracci di punti, linee e piani e la pelle dell’occhio sia spazio di grumi e onde. Ma credimi non è niente il coraggio, mi piace stare in apnea, contare le ombre dei coralli che nasconde nel suo ventre.
Così anche adesso che tu stai dormendo, che la luna è tramontata dentro il buio, lo voglio urlare piano nel tuo orecchio che non ho più paura degli alberi del bosco. Vibrano di luce intermittente, sono narcisi nel folto della notte. Aprirmi alla loro vista è dolce come immergere le mani nella cenere calda….”.
Giovanni Rosa