Punk-RomantikNon è affatto facile, di questi tempi, scoprire “nuovi talenti” nel mondo dei fotografi italiani interessati allo spazio architettonico e al paesaggio. Negli ultimi decenni infatti, a partire dal lavoro di pochi e selezionati maestri, la “fotografia di paesaggio” italiana è cresciuta a dismisura e in tutte le direzioni, arrivando a delinearsi come un genere dominante, capace di estendere l’ampiezza e la varietà dei suoi soggetti dalla visione zenitale all’astrazione del particolare architettonico alla materia viva di corpi, visi, sguardi di chi il paesaggio lo abita e allo stesso tempo lo altera. Ma proprio queste due interpretazioni estreme dell’idea di paesaggio – l’infinito e il centimetro di pelle – mi sono venute in mente quando ho visto per la prima volta il lavoro di Ilaria Ferretti, intenta a scrutare e interrogare la pelle corrotta degli edifici e quella sublime e altrettanto travagliata della natura come fossero voci di un unico oracolo, come dovessero raccontarci capitoli diversi di una stessa storia. Ho visto questa capacità quasi tattile nelle immagini ravvicinate e quasi pittoriche di intristiti intonaci anni settanta, la ritrovo nel prolungato lavoro di ricerca che la Ferretti svolge sul tema delle cave di estrazione. Un tema, tra l’altro, particolarmente appropriato rispetto al suo genius loci interiore e alla sua formazione, dato che l’autrice proviene dalle Marche. I suoi ritratti in bianco e nero di colline e montagne scavate, ulcerate, dimezzate, le permettono infatti da un lato di arrivare ad allungare coraggiosamente lo sguardo fino all’eredità di Giacomelli e al suo ritrarre “in sequenza” piccole e grandi mutazioni della faccia visibile della sua terra, e dall’altro di sviluppare un approccio più personale e contemporaneo, capace di elaborare un punto di vista critico e soggettivo sul rapporto orribile e sublime tra l’uomo e il suo ambiente. Il concetto di sublime, nell’osservare questo lavoro, non viene in mente per caso. La stessa Ferretti dichiara ogni volta che può la sua passione per una figurazione romantica, tradotta in questo caso nel tentativo di documentare allo stesso tempo sia la “sofferenza” della natura che il sottile brivido estetico che ci avvolge quando ci fermiamo a contemplarne ferite e amputazioni. Ma proprio la convivenza (per niente pacifica) di queste due sensazioni parallele e opposte, non più sintetizzabili in un’unica estetica, rende il romanticismo di Ilaria Ferretti molto contemporaneo, capace di mappare fotograficamente la violazione artificiosa e violenta dell’epidermide terrestre con la stessa passione ravvicinata con la quale Ballard descrive la pelle lacerata e il corpo ferito, amputato e meccanizzato della vittima dell’incidente stradale. Ferretti si muove quindi con disinvoltura nella contraddizione della sensibilità estetica contemporanea, che deve soffrire onestamente e con empatia la continua perdita di integrità dell’ambiente, ma che non può allo stesso tempo rinunciare ad estetizzare questa condizione. Pippo Ciorra
Pippo Ciorra; architetto, curatore, docente presso la Scuola di Architettura di Ascoli Piceno. Coordina il dottorato internazionale “Villard” d’Honnecourt. Collabora a quotidiani, periodici e riviste di architettura, è autore di numerose pubblicazioni e di mostre importanti in Italia e all’estero. Tra i suoi libri più recenti Next Generation_ Il futuro dei musei (Electa 2006) e Senza Architettura Le ragioni di una crisi (Laterza 2011). Ha curato e partecipato a mostre e pubblicazioni e iniziative nell’ambito della fotografia. In particolare ricordiamo le due edizioni dell’Atlante del Paesaggio Italiano (2003 e 2007) e il premio di Fotografia GD4PhotoArt, per il quale è giurato e membro del comitato scientifico. Dal 2010 è senior curator del MAXXI Architettura, dove, nel 2013, ha organizzato una mostra sul lavoro di Luigi Ghirri. Per il MAXXI ha curato nel 2015 il progetto La città perfetta di Olivo Barbieri. |